Allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero

L’altra notte ho conosciuto Marco.
Ci siamo incontrati sugli scalini di fronte al Bar San Calisto, a Trastevere.
Stava lì, con Giulia, Carlo e Federico.

Bar di San Calisto Roma Trastevere

Mi ha raccontato un po’ di lui. Quello che fa.

Marco è di Livorno e ha quel meraviglioso accento toscano che rende tutto più allegro, anche se le storie che mi racconta non lo sono.
Lui è una di quelle persone che dice tanto anche solo con uno sguardo, e si lascia capire.

Giulia è romana.
Le piace cantare e lo fa senza preoccuparsi di nient’altro.
Di nessuno.
E forse è giusto che sia così, perchè nessuno dovrebbe influenzare gli stati d’animo degli altri.
Tutti dovrebbero sentirsi liberi di essere.
Come fa lei.

Giulia mi ripete sempre che sono bella, e non è ancora completamente convinta che io sia italiana. Dice che i miei occhi non sono di qua, e i miei ricci neanche.
Me lo ripete spesso e mi dice che lei è una donna, il suo è un complimento disinteressato. Poi chiama Marco che mi guarda e sorride, senza dirmi niente.
Ma il suo sguardo parla più di Giulia.

Federico ha un cagnolino che si chiama Nano e che lo segue dappertutto.
Nano mi gira intorno e si appallottola sullo scalino sotto le mie gambe e si lascia accarezzare mentre si addormenta piano.
Carlo ogni tanto sparisce e ricompare accompagnato da comitive di gente che non parla italiano e si diverte a tirarmi in mezzo nelle loro conversazioni improbabili, sperando che io possa aiutarlo nelle traduzioni.
Un folle.

Poi arriva Cuffia. Che forse un altro nome ce l’ha, ma io non me lo ricordo.
In testa ha una cuffia da piscina che gli copre i dreadlock e un retino da pesca tra le mani. Me lo passa sotto il naso mentre parlo con gli altri. Quando gli chiedo cosa stia combinando mi dice che va in giro a catturare sorrisi e se resta intorno a me ne troverà tanti. Dice che sarà una notte ricca.

Marco mi prende per mano e mi aiuta ad alzarmi da terra. Mi chiede di stare attenta perchè i sampietrini mi sporcano e lui non vuole che io mi sporchi.
Mi chiama Stella, dice che gli piace raccontarmi le sue storie, perchè io resto ad ascoltarlo. Che è contento di avermi conosciuta.

Mi abbraccia, con un abbraccio mai invadente. Non mi tira, non mi stringe.
Mi abbraccia e mi chiede il permesso, perchè non vuole fare niente che possa infastidirmi.

La notte passa in fretta e nei giorni che seguono continuiamo ad incontrarci per caso. A Santa Maria in Trastevere.

piazza di santa maria in Trastevere

Marco suona lo djembe e si è messo in testa di volermelo insegnare.
Si mette alla mie spalle, uno scalino più in alto di me, senza sfiorarmi. Mi prende le mani e le muove al posto mio, e mentre crea un ritmo nuovo, tutto sembra avere un sapore diverso. Le facce dei passanti. La birra. Le sigarette. I rintocchi notturni del campanile.

Parliamo tanto, forse loro più di me. Io mi sento un’evasa da Together e dopo qualche giorno che mi sforzo di parlare inglese con tutti, l’italiano mi sembra ancora più bello.
Loro non mi raccontano storie felici, mi raccontano storie sbagliate. Storie di errori e ripensamenti realizzati tardi. Mi raccontano storie di chi a quarant’anni ha conosciuto e ha imparato ad apprezzare quello che la vita dà. Nel bene e nel male.
Loro mi raccontano le loro storie buie, con la dignità che trasuda chi non si vergogna di mostrarsi per quello che è. Nel bene e nel male.
Di chi bada alla sostanza e non all’apparenza.
Di chi riesce a catturare in un momento qualcosa di speciale prima che scappi via e sparisca per sempre.

E io mi sento libera di essere me stessa, di notte in una piazza splendida nel cuore assonnato di una Roma che si lascia ammirare. Nel cuore di una città che mostra un volto nuovo ad ogni sguardo che le lancio. Il volto vero, di gente vera che non si nasconde, ma si mette a nudo.

E mentre mi convinco sempre di più che nulla accade per caso, osservo il loro senso di libertà e la loro leggerezza, sperando che questa sensazione non mi abbandoni mai.
Sperando di imparare da loro più di quanto riescano ad immaginare.

Allora lo faccio anch’io. Faccio un passo e dico qualcosa.
Marco mi chiede delle mie giornate e del mio lavoro, gli dico che ormai sempre più spesso mi tolgo le scarpe e cammino scalza in un Garden assolato e caldo.
Gli dico che sempre più spesso penso a loro.
Sorridiamo fissandoci negli occhi, come due stranieri che hanno finalmente trovato qualcuno con cui parlare la stessa lingua.

La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri.
E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri.
Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili,
di finire alla mercè di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai.
Perché ci manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri limiti,
che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia,
in forza appunto.

Io amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l’anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore.

[Alda Merini]

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